Una vita di scadenze, inchieste e articoli battuti sulla tastiera fino a tarda notte. Ma cosa succede quando si smette di raccontare storie e si passa dall’altra parte, quella di chi deve pianificare il proprio futuro senza più uno stipendio fisso?
La pensione dei giornalisti ha subito una trasformazione significativa con il passaggio dall’INPGI all’INPS nel 2022, uniformandosi alle regole del sistema previdenziale generale. Il risultato? Un assegno pensionistico spesso inferiore alle aspettative di chi ha dedicato anni alla professione.
L’illusione della pensione pubblica
Molti giornalisti hanno vissuto con la convinzione che i contributi versati nella cassa previdenziale sarebbero stati sufficienti a garantire una vecchiaia serena. La realtà, però, è diversa: con il metodo contributivo, l’importo della pensione è direttamente proporzionale ai contributi versati e alla loro durata. Chi ha avuto carriere discontinue, con periodi di lavoro autonomo o contratti precari, rischia di ritrovarsi con un assegno ben al di sotto delle necessità.
Numeri che fanno riflettere
Oggi, un giornalista con una carriera media di 30-35 anni e uno stipendio di 3.000 euro lordi al mese può aspettarsi una pensione che si aggira tra il 50% e il 60% dell’ultimo stipendio. Ma chi ha interrotto l’attività per periodi più o meno lunghi o ha lavorato con compensi non elevati potrebbe trovarsi con una pensione ben più bassa.

Previdenza complementare: l’ancora di salvezza
Di fronte a questa prospettiva, la previdenza complementare diventa una scelta non solo consigliata, ma necessaria.
Investire in un fondo complementare fin da giovani consente di costruire un capitale che, al momento del pensionamento, può fare la differenza tra una vecchiaia dignitosa e una di sacrifici. Inoltre, i vantaggi fiscali legati alla previdenza complementare permettono di dedurre i contributi versati, rendendo questa scelta ancora più conveniente.